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PROGRAMMA GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO

L’interesse per il gioco d’azzardo patologico e le sue ripercussioni sulla popolazione locale nasce – come spesso accade nella nostra esperienza – dal confronto con il nostro territorio. A partire dai primi anni duemila il gioco d’azzardo mostra i segnali del grave problema sociale che diverrà entro qualche anno, e intuiamo quindi la necessità di rivolgere la nostra attenzione anche alle dipendenze da comportamento e, in particolare proprio al gioco d’azzardo patologico. Realizziamo quindi un corso di formazione per operatori e volontari, dal titolo “La dipendenza da gioco d’azzardo”, che ci permette di incontrare alcuni dei maggiori esperti italiani che già stanno lavorando in questo campo. Successivamente, la sensibilità che il Servizio per le Dipendenze mostra per questa problematica ci spinge a pensare a una modalità strutturata per accogliere e sostenere le persone che si rivolgono al servizio per questo tipo di dipendenza.

Ci impegniamo perciò a stendere un progetto per la creazione di un centro d’accoglienza, con un opera importante di sensibilizzazione del territorio. Dal 2006 parte così il nostro servizio, attivo ancora oggi e che nel corso degli anni si è sostenuto sia con l’autofinanziamento sia con l’utilizzo di fondi regionali, e che dal 2012 inserisce gli utenti attraverso un apposito protocollo d’intesa con la ASL locale.


Il nostro ente rafforza l’esperienza e la presenza a livello regionale e nazionale, con l’ingresso nel Co.Na.G.G.A. (il Coordinamento Nazionale Gruppi Giocatori d’Azzardo), nel 2013, e la presenza nella commissione regionale pubblico-privato per la redazione delle linee guida regionali sul GAP. In seguito al lavoro della commissione la Regione, con delibera 882\2016, accetta la candidatura dell’Associazione San Benedetto come attuatrice del progetto sperimentale per la realizzazione di un programma semiresidenziale per giocatori d’azzardo patologici.

Il Programma terapeutico

Il percorso che abbiamo pensato è rivolto a soggetti che, in generale, presentano situazioni caratterizzate da una compromissione a livello psicologico e sociale che richiede il coinvolgimento di più attori. Dal punto di vista metodologico, quindi, ecco quindi la scelta di utilizzare un modello integrato cognitivo, comportamentale e psicobiologico che sappia lavorare sulle diverse richieste e complessità per attivare dei percorsi di cambiamento e cura.

Questo lavoro si traduce in un percorso che, assieme all’utente, cerca di semplificare e modificare alcuni aspetti, in particolare attraverso la definizione di obiettivi condivisi, chiari e praticabili, e l’attivazione delle risorse del territorio e della rete familiare e sociale.

Le tre fasi in cui il programma è suddiviso hanno diversi obiettivi, che possiamo riassumere in un percorso che parte con:

Fase 1

Conoscenza del nuovo ambiente terapeutico e della prima sperimentazione di sé in questo nuovo contesto

Fase 2

Lavoro motivazionale sul cambiamento

Fase 3

Avviamento verso l’autonomia (gestione economica) e la riattivazione di una rete sociale come fattore di protezione

Lo staff (composto dal responsabile del programma, l’educatore, lo psicologo/psicoterapeuta, l’istruttore e/o operatore generico) gestisce questo percorso attivando gli strumenti a sua disposizione, che vanno dai momenti più strettamente terapeutici ed educativi (colloqui e gruppi) alle attività di carattere laboratoriale ed espressivo, oltre a specifici momenti dedicati alla gestione economica e finanziaria con un apposito tutor.